lunedì 19 gennaio 2009

Lavinia: storie di mamma, una storia vera


Lei si muove consueta, dandosi da fare; è, come sempre, svelta e riservata, ma alla pausa per il caffè offertole dalla famiglia presso la quale quel giorno è impegnata come collaboratrice, le da l’occasione di svelarsi familiarmente con la sua ospite e, comune destino di mamme, una nube le fora le pupille. Nel reciproco dialogo, si aprono l’una con l’altra, come valve di conchiglia. Lei, Lavinia, mamma di tre bambine, abbandonana sette anni fà la natia Moldavia in cerca di un pane meno amaro.

Si salutano, un mattino, lei e le bambine di dodici e nove anni, senza vedersi; gli occhi sono in piena come ruscelli, da ambo le parti. La piccina di tre anni dorme. Lavinia la guarda e rinuncia a darle un bacio per non interromperle i sogni e se ne va, verso l’Italia, verso l’incognito. Ha trentadue anni e il buio davanti a sé; dalla luce del suo sole s’è separata, lasciandolo in un piccolo paese moldavo. Cedendo brandelli di sé, è rondine che si allontana dal nido: fino a quando? Dopo due anni in Trentino torna a casa, reduce quale collaboratrice domestica a ore, servendo anche tre diverse abitazioni al giorno.
Le figlie trovano la mamma molto dimagrita e la esortano a nutrirsi di più: “Mamma mangia, per favore, ma tu in Italia non mangi?”
La piccola ha ora cinque anni e il dramma della partenza si ripete. È ancora notte quando deve abbandonare nuovamente tutti e ripartire per Trento. La salutano le due figlie più grandi, quattordici e undici anni, con il papà. La piccola anche stavolta dorme e il sogno della mamma vicina non va interrotto.
Lavinia, da Trento comunica spesso con casa da dove giunge puntuale la esortazione a mangiare, ”… se nò ti ammali mamma!”; le dicono che la piccola chiede di lei, continuamente. Le sorelle e papà le raccontano che la mamma è molto lontana e che tornerà quando lei sarà più grande; il giorno dopo svegliandosi, dice di essere già cresciuta e reclama la mamma lontana. Che dire? Quotidianità dolorosa e drammatica di storia dell’emigrazione, sotto ogni cielo.
Lavinia ha ora quarant’anni e seduta per il breve relax, si sfoga ancora, piangendo assieme all’ospite dove lavora e racconta l’ultimo episodio di famiglia: il giorno del suo quarantesimo compleanno le ricorda l’evento della morte di sua madre, mancatale alla sua stessa età e si lascia andare sul filo della memoria. La figlia maggiore, telefonandole quel giorno per gli auguri, la pregò di non piangere evocando la nonna e lei, zittita da un nodo alla gola non rispose; “Vero mamma che non hai pianto?” Silenzio! e allora il clich del telefono chiude la conversazione; il singhiozzo di entrambe si è incontrato nell’etere.
Destino e storie sventurate e disperanti, chi è stato emigrante lo sa. Emigranti immigrati: ecco che allora è erroneo, quando qualcuno di loro fuorviando sbaglia, fare di ogni erba un fascio e disdicevole erigersi a contegni e atteggiamenti di sufficienza, quando non di alterigia verso qualsiasi immigrato. Di loro, la stragrande maggioranza sono persone degne di rispetto. Avessimo qualche volta il coraggio di guardare a noi stessi, al nostro agire comportamentale. Diciamocelo, senza scomodare la carità cristiana, nemmeno noi siamo sempre improntati a specchio di rettitudine morale e di garbato civismo.
E questa è la storia di una emigrante mamma, una storia vera.

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