domenica 25 novembre 2007

L'uomo e' come l'erba

La liturgia funebre recita…e supplica: …ricordati Signore, che l’uomo è come l’erba, come il fiore del campo
Ne prendo lo spunto per una riflessione: … l’uomo è come l’erba…; certo, in natura, un cespo d’erba che vegeta su una zolla ricca di sali minerali, ha l’opportunità di dispiegarsi e prosperare, primeggiando sugli altri e tenendoli, con termine bio/ecologico, sottoposti, quando addirittura non li impoverisce fino a soffocarli; è la regola: mors tua, vita mea.


Mi pongo spesso questo dilemma, senza trovarne adeguata risposta; non intendo scomodare la metafisica oscurantista o le infinite credenze religiose, anche perché le risposte su quei versanti, o sono cieche o sono senza obbiettivo, ragionato riscontro. Sulla terra tutto è regolato dalla natura. L’uomo ha solo la pretesa e l’illusione di esserne arbitro o attore principale e, se lo è, lo è per sé e purtroppo, per creare alla natura stessa enormi, incertezze e forse, irrecuperabili danni.
Ma, se alcuni fili d’erba sopraffanno gli altri, la sineddoche da trarne è l’equiparazione al cosidetto Homo sapiens, il quale è ben rappresentato da molti esemplari paragonabili ai fili d’erba dominanti, costituiti dal più forte, dal più astuto e calcolatore, da colui che alla violenza fisica ha sostituito quella psicologica, dal più guerrafondaio, non importa se singolo o se Stato-nazione. Anche nelle piccole comunità, esiste il fortunato cespo o filo d’erba, il quale cerca di signoreggiare sopra la vegetazione erbaceo/umana circostante.
Ed è inutile che questo essere ritenuto intelligente, si arrabatti a sembrare, o ad apparire ciò che non è, a meno che per intelligenza non s’intenda furbizia, macchiavellismo e scaltrezza. L’entità uomo cerca il predominio sui suoi simili e su tutto ciò che lo circonda, con guerre millenarie, con false dottrine per imbonire i più sprovveduti, con leggi che lo favoriscano spesso ad personam. Questi squali, pur di prevalere, di arricchirsi a spalle dei fili d’erba sottoposti e ombreggiati, fanno di questo macroscopico e vile impulso di sopraffazione, la ragione principe della loro esistenza.
Vanno a confessarsi, a redimersi, con il fermo proposito di non peccare più…fino al giorno dopo. Pessimismo? sfiducia? nò, realtà elementare con la quale facciamo ogni giorno i conti e con la quale, come purtroppo legge di natura vuole, non è in verità così semplice rapportarsi; l’uomo ha ancora tanta strada da percorrere per essere filo d’erba fra i fili d’erba.
ricordati Signore, che l’uomo è come l’erba, come il fiore del campo
Al padreterno, oltretutto, non occorrerebbe ricordarlo, non è egli onnisciente?
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venerdì 1 giugno 2007

Ma tasi ti, vèc’ sbarlèch!

A vardarme ‘ntorno ben
en po’ de angósa la me ven,
no ghè pu pré e mì no vèč
che guidač, raze e buschèč

Na piovra co i den scondù ndal fen
che a segar pu no convén
e ‘l bosch el riva, de cià e de là
e ‘n po’ par tut, l’è bèle sal us de cà.



Con fen e erba ‘l cót no ‘l torna propi:
i era fac’ par mantignìr cavra e agnèl,
par far en goč de lat da dar ai popi
e, i scarti, da cösarghe al porcèl.

No pù stale, vache, far lèt, segàr fen e còrt
no pù cavre, fede, porcèl, galìne e bascòrt
e nde trent’agn è sparì tut - en bèl portènt
no ghè pù casaràr, lodàm da portar fò, pù gnènt!

El lat l’è “pas-to-riz-zato”
el botér el g’à “il co-les-te-rolo”
el formài el par cachìne bianche
con de ‘n colór che, ‘l par “con-va-le-scente”
e, se i savès de vargót! no i sà de gnènte!

E ndo èle polènte cocie da butàr fò i belòč
lèpa, fradàgoi, brö brusà e bóia,
mosna, sprèsa rostìda e sfregolòč,
tut en magnàr ca te fava vignìr voia?

Lagóm pèrder, valà, le recriminazión
de pré e de cap ca è nà ‘ndré;
l’èi però l’istès na gran desolazión,
pensar a col ca ghè stà tribulà dré

Quata èla la gioventù ca no sa pù dropàr
podèta, manaròt, rastèl e fèr da segàr?
e, no avèndoghe memoria de col ca è pasà,
quac’ èi ca no à mai ciapà ste argàgn ‘n mà?

L’è vira, l’òm ‘l gà tate risorse; dalbón.
Dré ala via se’ndrìza la sòma, ‘l dis el ritornèl;
me töl però el flà, l’angósa de sto arbandón,
de ste buschèč ca me ven fin sal cancèl.

Na gosatìna nde na rècia la me dis:
“…ma tasi, ca te sé numa ‘n vèč sbarlèch”!
però, no sò co farghe se ma la ciàp si fis;
mi taso … el sò ca g’ò ‘n po’ dal mognèch!

Traduzione: guidač e raze: arbusti infestanti - belòč: occhioni - lepa, fradàgoi, ecc.: antiche pappe di farina gialla – podèta: roncola – argàgn: attrezzi – buschèč: cespugli – sbarlèch: ciarliero – mognèch: lamentoso

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giovedì 17 maggio 2007

El dialèt

El dialèt? en son, na musica de cà,
en pòpo ‘ncantà el scolta sto parlàr
e ‘l tas; el se sent sal sò,
coma ndal véter dala mama
pu ben de lì, ndo pödel star?


Parlàda vècia, en gran bèl ciacolàr
mel, spargiùda sal sentimét
órbada senza perìcoi, sicura, drita,
pan par el cör, forza de vita,
spèc’ dale nòse generazión pasàde,
lingua, che de pu bèle no ga n’è mai stade

Trie parole, n’ociada,
ne som bèle capì, senza tat darse da far,
en descórs cort e ciar,
e… ‘l val numa par far filò,
tut el rest dal batolàr

I agn, da piciói, co le gos de mama e pupà
de fradéi, de set che ciàciara e sa le conta su
dolze, frèsche melodie
che no torna ‘ndré pù.

Con quèst vöi dir che, col dialèt,
parla de pù ‘l cör che l’intelèt;
se ‘l cambia, nol sarà pù si bèl,
el sarà coma avérghe taià le ale a ‘n osèl.

Traduzione: véter: ventre – órbada: proda erbosa – numa: solamente - batolàr: chiacchierare – gos: voci
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sabato 3 marzo 2007

La Terra, una cellula dell’universo?

La teoria dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo mi porta spesso a pensare che il nostro pianeta, sia ipoteticamente il microscopico elemento di un “essere” infinitamente grande, che sia, ad esempio, come una cellula nucleata, un leucocita sanguigno vagante nel plasma dell’universo, ma con un suo preciso compito da svolgere.

L’uomo, mi arrovello, è paragonabile ad un microrganismo, il cui compito è quello di occupare tutta la “cellula” Terra, fino ad esaurimento delle scorte, come un tumore, il quale, dopo aver devastato un corpo, assieme a questi perisce?
Il “tumore uomo”, nella sua superbia ed arroganza, avvalorati da comandamenti biblici quali il dominio del mondo su “tutte le cose” terrene, nell’inconscio, si rende conto di qual è il suo fine ultimo e che, in sé stesso, rischia di trovare la propria autodistruzione?
È così, se ci guardiamo in giro, che funzionano gli altri organismi? Ognuno dipende dall’altro e dall’altro si difende e attacca: “mors tua, vita mea”.
Questa lotta non mette solo l’uomo in concorrenza con altri organismi ma, gravissimo, bensì con se stesso, con i propri simili, con devastanti conflitti guerreggiati, tensioni economiche, sopraffazioni e schiavismi psicologici, religiosi e profani; sotto certi aspetti, egli dimostra una animalità mai del tutto sopita e doma.
Quando il danno creato da un organismo su un altro è irreversibile, l’organismo invasore soccombe con il suo ospite.
Sono solo teorie che dovrebbero far riflettere, senza che qualcuno vi si scagli contro; può essere anche solamente una provocazione per discuterne, ma non con argomenti esoterici o metafisici, che lasciano il tempo che trovano.
Perché non parlarne?
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giovedì 1 marzo 2007

Crescita e decrescita sostenibili, sono solo slogan?

Il disagio psicologico che, sia singolarmente sia collettivamente avvertiamo, di fronte alla ormai fittizia crescita economica ed il malessere che si intrufola nella società, sembrano fare la parodia verdiana del Barbiere di Siviglia … la calunnia è un venticello, una arietta, assai gentile, che invisibile e sottile, lentamente lentamente…. e pongono interrogativi ai quali non è agevole rispondere. È ormai chiaro che di sostenibile, se la crescita è quella attualmente nei programmi dei grandi, non rimane più molto.

Gli spazi sempre più ridotti possono agevolare solo chi, dei destini di tante nazioni, non se ne cura; ma è una sostenibilità a senso unico e, anche per costoro, non sarà eterna. Se pensiamo che, già nel 1999, in un rapporto sullo sviluppo umano, i tre miliardari in testa alla classifica mondiale detenevano, da soli, ricchezze superiori a tutti i paesi sottosviluppati, con abitanti pari a oltre seicento milioni di persone, qualcosa di vergognoso che non gira, non funziona, esiste. Gli stessi denunciati fallimenti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale sono un segnale eloquente dei limiti entro i quali, parlare di crescita sostenibile è, anche nel breve periodo, pura utopia.
E allora dovremo affrontare una decrescita: questo è termine spaventoso, la cui idea atterrisce quanto e più del disagio psicologico sopra accennato. Henry D. Thoreau, gia verso il 1850 avvertiva: “Ciascuno di noi è ricco in proporzione al numero delle cose di cui può fare a meno “.
In verità, il tema “decrescita” è affrontato già, in qualche modo, a livello di diversi Paesi; si parla di decrescita non negativa, conviviale, condivisa. Siamo agli albori di una presa di coscienza che troverà però delle resistenze fortissime. È una empasse culturale. La apprensione che, con insistenza è denunciata da uomini di scienza, premi Nobel, ambientalisti di tutto il mondo circa l’enorme incognita dell’inquinamento e del surriscaldamento atmosferico, le diatribe che la questione suscita negli Stati, nelle città, anche le più piccole ormai, come a livello di amministrazioni comunali, è allarme che stenta ad assumere valenza di presa di coscienza globale, e qui si parla di insostenibilià ecologica. Nei soli Stati Uniti, il consumo delle risorse degli ecosistemi di terra e acqua è cinque volte superiore alla disponibilità media del globo; per quanto ancora la biosfera, sommando i consumi di U.S.A., Europa, Asia e Sud del mondo, riuscirà a fare fronte a tali sprechi? Alle riunioni organizzate sul tema, alcuni Stati addirittura non partecipano, pur essendo i più potenti ed i maggiori inquinatori, Stati per i quali pare esistere un non condivisibile timore reverenziale solo a citarli. Già vent’anni fa, il responsabile della Commissione Mondiale per l’Ambiente ed ex premier norvegese G. Harlem Brundtlamnd lanciava uno slogan mai raccolto: “crescita sostenibile”; il significato era: non fermiamo il progresso ma conciliamolo con le risorse globali ed i doveri verso le future generazioni. Ora è concetto che suona inattuale di fronte ad una situazione disperante; prima che si superino gli interessi politici ed economici globali, occorrerà giusto il tempo dopo del quale sarà già troppo tardi: Catastrofismo? no, realtà evidente , che si esplica nello sconvolgimento delle stagioni, nello scioglimento dei ghiacciai, nelle torride stagioni, nelle invivibili città, nei disastrosi ‘tornados’, nell’avanzare della desertificazione, negli sconvolgimenti generati dalle sperimentazioni atomiche, nella scomparsa di tante specie animali e vegetali, nelle affezioni di nuova generazione per l’uomo e se ne potrebbero aggiungere altri. S’è continuato a inquinare, a devastare foreste e atmosfera un po’ ovunque. Mentre l’uomo sta lentamente condannando se stesso, poiché di questo si tratta, chi di dovere dovrà pure percepire finalmente l’altissimo grado di pericolosità raggiunto ed assumersi, per tali problematiche, le immani responsabilità che la politica ha nei riguardi delle generazioni a venire. Che queste non abbiano a maledirci per la nostra ignoranza, avidità e avventatezza.
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